martedì 5 aprile 2016

Referendum del 17 aprile, non solo trivelle a mare

articolo da Referendum del 17 aprile, non solo trivelle a mare:

Referendum del 17 aprile, non solo trivelle a mare ma il futuro di un paese che ha un sacco di ricchezze ambientali, non concretamente tutelate a causa di troppi interessi, lobby e intrecci fra politica e economia. Proviamo a guardare questi interessi tracciando un tratto d’unione fra tanti piccoli punti, come nei giochi sui settimanali d’enigmistica.
Una grande partita per l’Italia si gioca nella partita sul referendum del 17 aprile, non solo trivelle a mare ma anche e soprattutto un segno per quanti tengono i piedi sulla terra. Una terra, la nostra, quella che poteva vivere sfruttando turismo e bellezze storiche e ambientali che non possiede nessun paese al mondo e che, invece, rischia di morire sotto il peso della “terra dei fuochi”, dell’amianto, delle mancate tutele e delle molte connivenze. Sarebbe un grosso sbaglio pensare che il 17 aprile la partita sia soltanto sulle energie fossili, sul gas, sulla battaglia sterile e demagogica fra ambiente e posti di lavoro. Il referendum 17 aprile, non solo trivelle a mare ma segnale importante per la politica: questa è la realtà, questo è la posta in gioco nella consultazione referendaria.

Non può essere sfuggito agli osservatori attenti un piano sottile ma penetrante di frattura nel campo dei controlli ambientali, in quello della tutela della biodiversità posta sempre in contrasto con l’eterno problema agitato seppur reale di questi anni: la ripresa economica, che sembra sempre essere dietro l’angolo, come i miraggi dei disperati che attraversano il deserto. L’allentamento dei controlli ambientali aiuta sicuramente la ripresa economica, non la salute dei cittadini ma le aride cifre del PIL, in un paese che fra spechi ed evasione fiscale ogni anno si gioca una finanziaria, ma non mostra segni di redenzione su questi argomenti. Purtroppo invece mentre mostra chiari segni di perdizione su altri argomenti altrettanto importanti, bruciati dalle cronache nella solita fiammata di indignazione che si spegne in poche settimane, grazie anche la distrazione degli organi di informazione. Con qualche tratto di penna abbiamo cancellato il Corpo Forestale, dopo aver tollerato per anni una gestione dello stesso non certo illuminata, forse troppo nepotistica, e non contenti sono state distrutte anche le Polizie Provinciali, finendo con la volontà di ristrutturare/destrutturare i NOE, depotenziando il marziano colonnello Ultimo, alias Sergio Di Caprio, forse troppo intransigente. In un colpo solo, anche se apparentemente diluito, si è giunti a un radicale abbassamento del contrasto ai reati ambientali, quelli capaci di aiutare, se non contrastati, la ripresa economica. Proviamo a tornare indietro negli anni, purtroppo pochi per la storia ma tantissimi per la memoria collettiva e vediamo su cosa si è basato, anche in modo importante, il nostro periodo aureo, il boom economico degli anni ’60: amianto, industrie inquinanti, smaltimento dissennato dei rifiuti, avvelenamento di cibi e acque, sfruttamento della manodopera, opere come la diga del Vaiont, sfruttamento delle terre che hanno originato il dramma del Polesine, disboscamento selvaggio e mancata tutela dell’ambiente che hanno flagellato negli ultimi anni Liguria, Toscana e molte regioni meridionali. Le chiamiamo disgrazie, eventi straordinari, calamità naturali come se si trattasse delle piaghe d’Egitto ma in realtà si tratta solo di analizzare dissesti provocati scientemente dall’uomo, con complicità istituzionali che hanno permesso di costruire centri commerciali nelle casse di espansione fluviale, con il solito odore di morte che spesso accompagna la peggior economia.